Teatro

Maddalena Crippa sa pensare come Giorgio Gaber

Maddalena Crippa sa pensare come Giorgio Gaber

Che Giorgio Gaber avrebbe lasciato un vuoto incolmabile si era capito proprio subito, appena circolata la voce della sua scomparsa. Era appena scoccato il primo giorno dell’anno 2003 e, nella notte da tutti festeggiata, il signor G se n’era andato per sempre. Ma solo fisicamente; non solo perché ci ha lasciato una quantità di capolavori, non tanto musicali ma proprio per insieme di cose. Perché era stato un musicista, un attore, forse un po’ anche un comico, un contestatore, un uomo intelligentissimo e sensibile, era perfino timido eppure trascinava folle di giovani che lo avrebbero seguito ovunque, all’uscita di quei suoi mitici incontri di teatro-concerto-protesta sociale, fuori dal Teatro Lirico di Milano, tanti e tanti anni fa.

Che non sarebbero bastati i dischi, i CD, i DVD o i filmati della Rai si è capito quando, con la nascita della Fondazione Giorgio Gaber, sono spuntati come funghi artisti e musicisti vari, pronti a riproporre le sue canzoni e i suoi monologhi. C’è stata pure una gara estiva con tanti nuovi artisti aiutati ad emergere, presentata da un Enzo Iacchetti che poi sul palco c’è salito con una band e uno spettacolo intitolato, per fortuna, ‘Chiedo scusa al signor G’. E’ stato come aprire il vaso di Pandora e cito solo Gioele Dix, bravissimo esecutore di pezzi divertenti e profondi con ‘Se potessi mangiare un’idea’; Claudio Bisio, che ha interpretato in prosa ‘Io quella volta lì avevo 25 anni’ e un magnifico Neri Marcorè, da cui pensavo fosse giunto il migliore dei contributi con ‘Un certo signor G’. Non avevo ancora visto lo spettacolo di Maddalena Crippai.

Ma ho fatto bene ad aspettare perché ora, al Teatro Tieffe Marcona di Milano, Maddalena ha offerto al pubblico quello che lei ha filtrato con arte, perizia, attenta e ironica sensibilità dopo aver scelto da un vasto repertorio E pensare che c’era il pensiero, che Gaber scrisse con l’amico Sandro Luporini nel 1994, da molti considerato uno degli spettacoli più importanti nell’arte gaberiana. Lo ha fatto sotto l’invito di Emiio Russo, che voleva partecipare alle celebrazioni dei mai raggiunti 70 anni del grande artista milanese e che la Crippa ha accettato come una sfida, presentandosi in primis al Piccolo Teatro. Come poteva una donna confrontarsi con tanti altri artisti che omaggiano ormai da anni il vuoto lasciato dal grande signor G? Eppure questa è la grandezza di una donna, splendida, che si presenta quasi in pessimo look: mi riferisco ai pedalini neri corti su gambe mortificate da una gonna nera sotto il ginocchio, scarpe basse da fitness e maglina nera così così, insomma tipo mercatino. Trucco zero.

 

Eppure, questa estraneità del femminile, che peraltro in Maddalena Crippa difficilmente si può evitare essendo lei bellissima, qui  lascia affiorare l’assolutezza delle parole, pronunciate con la leggerezza e il peso che solo Gaber in origine sapeva dosare così bene. Ci ha fatto riprovare la vergogna di essere dei poveracci che non riescono a cambiare nè il nostro presente nè il nostro futuro, trascinati stancamente da chiacchiere e buone intenzioni strillate ma con un nulla di fatto. Ricordare che Gaber queste cose le diceva quasi vent’anni fa non consola, anzi un po’ mi spaventa. Non per nulla, dopo una stagione durata tantissimi anni, il nostro eroe si era ridotto a considerarsi uno sconfitto, assieme a tutta la sua generazione di rivoluzionari falliti. L’attentissima capacità di pronunciare le parole di Gaber come se le stesse ‘pensando’ lei esattamente nel momento in cui le dice, rendono la prova di Maddalena semplicemente grandiosa.

A questa aggiunge la delicatezza di non accostarsi a una orchestra o una band, come faceva Gaber per i suoi ultimi, magnifici spettacoli, ma si fa accompagnare da Massimo Gagliardi, un bravissimo e talentuoso pianista giovane e da tre ragazze che fanno le coriste con grande entusiasmo: Chiara Calderale, Miriam Longo, Valeria Svizzeri.  L’intelligente regia estremamente minimalista è di Emanuela Giordano  e lo spazio, quasi tutto vuoto, è percorso da Maddalena Crippa per il lungo e il largo grazie alla scelta di esibirsi non come femme fatale ma come una interprete in movimento. Cambia del tutto registro verso la fine dello spettacolo e propone al pubblico, assolutamente deliziato dall’aver nuovamente utilizzato un po’ di materia grigia senza sentirsi troppo stupido, diversi medley dei brani più leggeri e antichi del repertorio gaberiano, come ‘Torpedo blu’, ‘Non arrossire’ o ‘Lo sciampo’.

Qui il pianista e le tre ragazze fanno da contraltare alla voce di Maddalena attraverso un coro a cappella e altre invenzioni vocali, dimostrando che perfino senza alcuno strumento musicale ma vera arte e simpatia può riemergere dal buio l’anima di Giorgio Gaber. In effetti l’ho percepita alla mia destra, fra alcune poltroncine vuote, un’evidente vibrazione, perfino un sibilo. E ho avuto la netta impressione che Gaber in persona avesse lasciato il suo mondo lontano per venire a vedere la Crippa, seduto al buio tra gli altri spettatori, divertendosi come un matto a quelle canzonette accennate che accarezzano l’anima e ascoltando con malinconia ma speranza i vari monologhi cantati in modo così straordinario dall’unica donna che finora si sia cimentata nell’appropriazione riuscita di testi unici e così personali, scritti da un grande artista dei nostri tempi, che sembra trovare un timone in chi, con tanta dolcezza e bravura, lo ha fatto rivivere al punto da attirarlo fra il pubblico, per sorridere un po’ pure lui. Ancora con noi.